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Descrizione
Nell'ambito dell'eredità che Avicenna, ripensando il neoplatonismo, aveva lasciato al mondo islamico, la "filosofia orientale", l'Ishraq, di Shihab ud - Din Suhravardi (1155-1191) resta uno dei raggiungimenti più originali e preziosi. Concepito insieme come ritorno della filosofia alle sue origini sacrali, e inveramento della dottrina religiosa (din), il suo progetto ha una immediata fìnalità operativa: un pensiero della presenza che si risolva nella pura evidenza del Sé. La dottrina del giovane pensatore iraniano intende infatti superare - in modo parallelo ma distinto dal tasawwuf - i limiti di una rappresentazione solo discorsiva fra l'uomo e le cose: quest'ultima segna l'esilio nel mondo dell'insufficienza laddove l'anima è un pavone spirituale che deve tornare "presso di sé". E al recupero di quest'Oriente metafisico, punto di luce immateriale, concetto a più dimensioni, è dedicato ogni suo sforzo e un'opera letteraria in cui confluiscono narrazioni del passato iranico, temi ermetici, simboli visionari. Sono proprio le narrazioni simboliche (hikayat) di cui questa raccolta riporta alcune fra le più famose - uno degli esiti più riusciti della sua filosofia. Nelle brevi e stlizzate vicende, nei dialoghi siderali o concreti, il lettore è chiamato a compiere un salto anagogico, per cogliere i tratti difficili di un risveglio a se stessi, le tracce di un sapere sfuggente e nostalgico come gli orizzonti. È un "conosci te stesso" pervasivo e drammatico, che ha insieme la fisionomia iniziatica dell'"ottavo clima" e il fascino degli altopiani deserti dell'Iran.