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EBOOK - epub

Il contributo sociologico di Paul Ricoeur
Protezione:
Adobe DRM
€ 4,99
Dettagli
FORMATO | epub |
EDITORE | Gangemi Editore |
EAN | 9788849227369 |
ANNO PUBBLICAZIONE | 2016 |
CATEGORIA |
Opere generali e dizionari Sociologia |
LINGUA | ita |
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Descrizione
L’obiettivo di questo articolo è esaminare alcuni aspetti metodologici e di teoria sociale rintracciabili nel pensiero filosofico di Paul Ricoeur, dato che parte significativa dell’opera di questo autore può essere concepita come un’interessante traduzione del pensiero ermeneutico nelle scienze sociali.
Una traduzione simile si può ritrovare, per esempio, anche in Habermas, ma Ricoeur si distingue da quest’ultimo in particolare per la maggiore attenzione riservata alle forme simboliche come strumento di costruzione e al tempo stesso comprensione della realtà sociale.
L’enfasi sulla limitatezza e ambivalenza di ogni mediazione simbolica permette al filosofo francese di non incentrare la sua analisi su categorie trascendentali come in parte fa Habermas (1981a) quando parla delle tre pretese di validità presenti in ogni linguaggio storico-naturale, e più in generale della ragione comunicativa1.
Il pensiero di Ricoeur trae la sua originalità dal tentativo di valorizzare la riflessività del soggetto, senza fare di questo un a-priori ed evitando contemporaneamente la sua semplice riduzione a una base economica, psicologica, biologica, discorsiva o di altro tipo.
Lo studio ricoeuriano percorre una “via lunga” che lo stesso autore pone come metodo fecondo dell’indagine filosofica: adottare i punti di vista e le pratiche di ricerca di specifiche “ermeneutiche regionali”, in particolare semiotica, linguistica, storia, antropologia e, appunto, sociologia, per poi rimandare a questioni di ordine ontologico. Ma la risalita all’ontologia è sempre incompiuta, accennata, e comunque progressivamente abbandonata con la “connotazione sociologica” della via lunga2.
I presupposti di questa maturazione sono dati da un orientamento filosofico genuinamente anti-fondazionalista, a cui accennerò più avanti quando parlerò dell’assenza di “assoluti”.